Mia nonna sfuggita ai nazisti scappò tra i vicoli ad avvertire le famiglie ebree. Io esisto per caso

L’ex governatore del Lazio: “Questa della mia famiglia è una delle tante storie romane di quel 16 ottobre. Una storia che deve solo alla fatalità il suo esito positivo”.

Quando, quella mattina di 80 anni fa, i nazisti sfondarono la porta di Via Felice Cavallotti, mio nonno Angelo Di Capua era stato nascosto e protetto dalle suore. Mia nonna, cattolica, sola con le due figlie piccole Nicoletta ed Emma, mia madre, ebbe il coraggio, l’intelligenza e l’attaccamento alla vita di mostrare il suo documento da nubile: Maria Luisa Rippo.

Il soldato tedesco non indagò oltre e, forse per pietà o forse per caso, andò via. Se avesse insistito, probabilmente la verità in qualche modo sarebbe venuta fuori e tutti, compresa mia madre di sette anni, sarebbero stati deportati e uccisi in una camera a gas.

La mamma di mio nonno Ester Della Torre fu catturata e uccisa all’arrivo ad Auschwitz il 23 ottobre. Mia nonna invece uscì, portò le bambine nel convento e poi con il “cappotto buono”, come raccontava sempre, andò per i vicoli di Monteverde ad avvertire le famiglie ebree che conosceva che bisognava fuggire subito.

Per questo dico “esisto per caso”. Questa della mia famiglia è una delle tante storie romane di quel 16 ottobre. Una storia che deve solo alla fatalità il suo esito positivo, a differenza di quella di oltre mille donne, uomini, ragazze e ragazzi, bambine e bambini che non ebbero la stessa fortuna e furono strappati via da Roma, nella stragrande maggioranza per non fare mai più ritorno.

Questa giornata del 16 ottobre — nell’anniversario degli 80 dal Rastrellamento degli ebrei da Roma — è importante per ricordare soprattutto le vittime: i deportati, lo strazio e la disperazione di quelle ore. Ma è utile soprattutto per i nostri giorni, per l’oggi e per il domani.

Perché ritornare con la memoria a quella cesura della nostra storia ci aiuta a comprendere come la Shoah, tutta la violenza e l’odio riversati sulla comunità ebraica e sulle minoranze è stato un crimine immane commesso non da extraterrestri o “animali”, ma da “normali” esseri umani, dotati di intelligenza e cultura. E ciò che è accaduto per mano dell’uomo può sempre accadere di nuovo.

Questa consapevolezza è un valore democratico fondamentale. La Shoah è ancora oggi un monito, perché la sua radice profonda è l’odio verso l’altro, il disprezzo per la persona e per ciò che è. La soppressione sistematica di milioni di esseri umani non accadde all’improvviso, bensì fu l’ultima tappa inevitabile e drammatica del processo di disprezzo e svalutazione della dignità e della vita innescato dai regimi nazifascisti.

In Italia, affonda le radici nelle scelte del fascismo. Quegli elenchi che i nazisti avevano in mano esistevano grazie alle scelte del regime del 1938 e dal censimento degli ebrei italiani voluto proprio per principi razzisti e antisemiti. Il 16 ottobre e la memoria, dunque, sono occasioni di elaborazione etica e civile che, per non essere annacquati nella retorica, richiedono coerenza nei comportamenti. Ci chiedono di portare nelle nostre vite, tutti i giorni, l’impegno a tenere viva la cultura del valore delle differenze. Ci chiedono di indignarci e protestare quando un essere umano viene offeso perché giudicato, offeso, emarginato per quello che è.

Per questo oggi siamo vigili, dobbiamo essere attivi ogni qual volta una persona viene offesa e un pensiero di sopraffazione si afferma. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge”, recita l’articolo 3 della Costituzione. Mia nonna non poté essere difesa da questo scudo. Quel principio non c’era, è stato una conquista e oggi a noi il compito di non farlo rimanere solo un testo scritto, bensì di farlo vivere tutti i giorni nella realtà.

Articolo uscito su Repubblica Roma il 16/10/2023