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Lo confermano sia le Regioni sia la Corte dei Conti, il Governo con la revisione del Pnrr rischia di far perdere all’Italia 1.2 miliardi di investimenti in ospedali. Continua poi l’attivismo dell’esecutivo sulla scuola, con un approccio penalistico sbagliato e regressivo.

ANCORA CONFUSIONE E TAGLI SUL PNRR DA PARTE DEL GOVERNO

Come denunciamo da tempo il Governo, nell’ambito delle revisioni al Pnrr, sta tagliando consistentemente progetti e fondi previsti. Le linee di finanziamento con le quali intende “tappare” questo buco provengono da risorse nazionali già a bilancio per altri progetti e si produrrà inevitabilmente un taglio di fatto della capacità di investimento complessiva. Parliamo di ben 16 miliardi di Euro per non fermare cantieri e interventi necessari che non avranno più la linea di finanziamento europea. E quindi sedici miliardi in meno: per i Comuni e i ministeri 1,8 miliardi a testa, per le opere che possono beneficiare del fondo “anti-inflazione” 900 milioni. A pagare di più è il Fondo Sviluppo e coesione (5 miliardi) che riserva l’80% delle risorse al Sud. A Confermare tutto questo c’è il dossier dello stesso Ufficio Parlamentare dui Bilancio che denuncia anche la poca chiarezza sulle nuove coperture e modalità di spesa: “informazioni non esaustive sulla destinazione delle nuove risorse e sui definanziamenti”, così i tecnici di Montecitorio.

In questo quadro spicca per gravità il buco che rischia di generarsi per 1,2 miliardi che erano previsti nel piano nazionale complementare per la sanità di prossimità e la realizzazione di nuovi ospedali. Il Ministro Fitto ha infatti indicato come nuova copertura il “fondo per l’edilizia ospedaliera”, ma con lo stesso fondo molte regioni avevano già cantierizzato diversi interventi che rischiano ora di restare scoperti. Questo aspetto è stato perfettamente sottolineato dal coordinatore della commissione sanità della Conferenza delle Regioni Raffaele Donini: “Chiediamo l’immediata cancellazione del comma 13 dell’articolo 1 del Dl n. 19 e di discutere insieme su come affrontare il tema perché questa norma sostanzialmente cancella risorse già assegnate alle Regioni da fondi Pnc per circa 1 miliardo e 200 milioni di euro. Attenzione perché queste risorse attengono a investimenti già cantierati o comunque con obbligazioni giuridicamente vincolanti quindi con gare assegnate e che necessitano di una esigibilità, di una liquidità, di una capacità di erogazione della spesa. La disponibilità delle risorse individuate come sostitutive ex articolo 20 per noi è sostanzialmente inesistente.” Sono dunque le stesse Regioni a smentire la validità delle ipotesi di rifinanziamento ipotizzate dal Governo.

LA SCUOLA DELLA DESTRA: L’ILLUSIONE DI PUNIRE SENZA FORMARE

Da parte del Governo Meloni e della sua maggioranza c’è un grande attivismo anche parlamentare sul tema della scuola e ha un indirizzo sbagliato e regressivo. Su questo un mio articolo per il quotidiano Domani:

E’ un problema molto serio che richiede ora una grande attenzione perché la scuola pubblica è il tassello più importante della nostra democrazia.La Costituzione pone l’obbiettivo di “rimuovere gli ostacoli” alla piena realizzazione della persona, per farlo ci indica l’istruzione e l’educazione delle ragazze e dei ragazzi come la strada maestra.

Istruire i giovani significa accompagnarli in un processo di crescita che gli dia nozioni e gli strumenti per affrontare la complessità delle relazioni umane, lavorative e politiche in cui saranno immersi nella società, che li educhi al consenso e al rispetto dell’altro: formare i cittadini. Questo ruolo diventa tanto più vero quando il contesto familiare, sociale e geografico di tante ragazze e ragazzi non può aiutarli a riempire il loro bagaglio umano e culturale. Un bagaglio indispensabile per superare le diseguaglianze sostanziali che subiscono nella loro condizione di partenza. Per questo la dispersione e l’abbandono scolastico sono una delle principali piaghe per la nostra democrazia.

Ci sono sfide vecchie e nuove: la dispersione, i crescenti disagi psicologici e la marginalizzazione sociale che tanti giovani subiscono nelle aree interne e nelle periferie delle grandi città. Si aggiunge poi il ruolo che hanno i social nella diffusione di dati che spesso vengono scambiati per nozioni o fatti e, molte volte, non lo sono. Il combinato disposto di pandemia e mondo digitale ha avuto effetti dirompenti. Se alle forme di disagio che sorgono nell’età fragile dell’infanzia e dell’adolescenza non si danno risposte a scuola, il rischio per le ragazze e i ragazzi è enorme, e come sempre colpirebbe in particolare chi non può permettersi strade di assistenza e recupero. Le politiche del diritto allo studio nel corso degli anni sono state pensate immaginando modelli famigliari supportati da alta qualità di servizi e, per chi li aveva, redditi adeguati. Oggi sono insufficienti. Tutto è cambiato, non in meglio e l’espulsione scolastica è tornata da essere in gran parte un’espulsione di classe. In questa situazione con la destra assistiamo, purtroppo, a una regressione culturale nell’approccio all’istruzione. Si usano le prove Invalsi, pensate per monitorare le scuole, come strumenti per valutare i giovani. Con il disegno di legge sulla valutazione del comportamento degli studenti, hanno scelto un approccio punitivo, come hanno già fatto con la legge sulla sicurezza del personale docente, che ha introdotto nuove sanzioni e pene. Non si deve tollerare la violenza, fisica e verbale, nella comunità scolastica, ma il tema è come questi fenomeni si affrontano e, soprattutto, si prevengono. In una legge che parla di scuola si sono introdotte due fattispecie di aggravanti nel codice penale. Come se non bastasse adesso, nel disegno di legge sulla valutazione del comportamento, si prevedono, con un ulteriore emendamento, nuove sanzioni pecuniarie da 500 a 10.000 euro. Contestualmente non sono stati previsti reali finanziamenti per il nuovo Osservatorio che dovrebbe occuparsi di favorire azioni di cooperazione e dialogo all’interno delle comunità scolastiche, fondamentali per riportare molte famiglie a riconoscere i diversi ruoli che si devono avere in rapporto alla scuola.

Se nuove pene diventano l’aspetto principale dell’intervento, non si fornisce alcun sostegno alla funzione educante e formativa della scuola, e nel testo sulla valutazione si mortifica il lavoro docente e si cancella il giudizio descrittivo nella scuola primaria, si tradiscono la missione e lo spirito dell’istruzione pubblica per come l’abbiamo conosciuta fino ad ora. Il compito di formare dei cittadini, anche educandoli alle regole, passa per strategie che amplino l’offerta formativa e la solidità della scuola pubblica con più risorse e strumenti. A tutto questo urge dare risposte e dotare la comunità scolastica di maggiori risorse e strumenti. Bisogna investire sugli insegnanti, ai quali troppo spesso si chiede davvero di tutto, arricchire gli istituti anche di nuove figure professionali come educatori specializzati, pedagogisti e psicologi. Bisogna intervenire per migliori retribuzioni e per il superamento del precariato, il rafforzamento del tempo di scuola, migliori infrastrutture, nuove strumentazioni e formazione permanente per chi insegna; si devono poi mettere in campo investimenti di carattere sociale e culturale verso le famiglie di studenti e studentesse più a rischio di espulsione. Invece troppo spesso alla scuola si trasferiscono i “problemi” da risolvere e quasi mai le risorse e gli strumenti per farlo. Se poi ci si illude di ottenere risultati tramite l’approccio esclusivamente punitivo, si commette un tragico errore. La “pena”, che ormai sembra essere sempre più la soluzione per tutto, è una scorciatoia che produrrà risentimento, altra violenza e, specie nelle situazioni di maggiore fragilità sociale, respingerà gli studenti. La democrazia è prima di tutto la scommessa che tramite la partecipazione, l’istruzione e la coscienza civile, le cose possano cambiare in meglio. Questo è quello in cui noi abbiamo sempre creduto e in cui continuiamo a credere. L’approccio punitivo del Governo va nella direzione opposta, non affronta i problemi e ne crea semmai di nuovi. La scuola, dunque, ridiventa centrale per il futuro del paese come all’inizio della vita della Repubblica. Perché, per dirla con Calamandrei, è il luogo più importante se si vuole che la democrazia prima si faccia, poi si mantenga e si perfezioni. La costruzione dell’alternativa per intercettare la vita delle persone deve ripartire anche da questa consapevolezza.

8 MARZO, IL RAPPORTO DELL’UNIONE DEGLI UNIVERSITARI SULLA VIOLENZA DI GENERE NEGLI ATENEI

Venerdì 8 marzo, in occasione della giornata internazionale delle donne, abbiamo presentato alla Camera il rapporto curato da UDU (Unione degli Universitari) “La tua voce conta” sulle molestie e violenze di genere negli atenei. La denuncia delle dinamiche patriarcali ancora oggi è osteggiata con troppi silenzi e omissioni. Non si può mai abbassare la guardia, non solo sulla violenza che emerge dai fatti di cronaca, ma sulla quotidianità. E’ fondamentale accendere un faro a partire dai luoghi di studio e da ricerche come quella dell’Unione degli Universitari sulla violenza di genere negli atenei. La battaglia è quella indicata dalla Costituzione ed è sempre la stessa: la parità dei diritti e la rimozione degli ostacoli. Alcuni diritti non sono garantiti, non lo sono perché non c’è riconoscimento della differenza di genere. Viviamo ancora in una società nella quale dietro la finta neutralità c’è in realtà l’egemonia del maschio adulto. La violenza degli uomini si scaglia contro le donne, anche in forma di molestia, quando questo modello viene smascherato, nel pubblico e nel privato. Noi siamo dentro questa battaglia anche grazie alle tante ragazze e ragazzi che su questo tema ancora oggi stanno riempiendo le piazze di tutta Italia. Una battaglia legislativa e insieme culturale. Perché purtroppo, nonostante l’espansione dei diritti e i passi avanti, rischiamo ancora una fase regressiva nel dibattito pubblico.

IN COMMISSIONE CULTURA:

Nei prossimi giorni sarà posto all’attenzione delle Commissioni Bilancio e Cultura della Camera il DL 19/2024 sul PNRR. Il decreto vede interessata la questione del diritto allo studio e in particolare i fondi previsti dal piano per la realizzazione di studentati. In dialogo con l’Unione degli Universitari presenteremo come gruppo del Partito Democratico alcuni emendamenti che puntano in particolare a una maggiore concertazione con le parti sociali nella definizione delle priorità alloggiative, ad avere garanzie di una reale copertura economica per quanto concerne le possibili convenzioni coi privati per gli studentati e all’incremento del fondo per sostenere gli studenti fuori sede iscritti alle università statali. Qui la memoria completa di UDU e le proposte emendative.

Qui il dettaglio di tutto il lavoro dell’aula di Montecitorio dell’ultimo mese!