Zingaretti: uniamo l’opposizione, possiamo vincere!

Le elezioni europee saranno un’occasione di chiarezza», esordisce l’ex segretario del Pd Nicola Zingaretti, oggi deputato e presidente della fondazione Demo. «Un appuntamento cruciale per scegliere tra chi vuole un’Europa forte che lavori per la pace, e i nazionalismi che storicamente hanno sempre portato alla guerra».

Per il momento, nel suo partito, sono occasione di scontro e tensione sulle liste…

«Io ci vedo un elemento positivo: un anno e mezzo fa, si discuteva se il Pd fosse morto e i poli di attrazione erano Conte e Calenda. Oggi torna ad essere protagonista e calamita che attrae».

Per via delle candidature civiche, intende. Che però stanno facendo infuriare molti nel partito.

«Un dibattito è fisiologico su come coniugare la storia e l’orgoglio del Pd con l’idea di liste aperte. Non drammatizzerei la situazione».

Le cito la sua collega europarlamentare Pina Picierno: se la capolista è un’esterna e in terza posizione ci sarà la segretaria, per essere eletta dovrei invitare gli elettori a non votare una delle due. E’ possibile?

«Ma le liste non ci sono ancora! Questa discussione è giusto farla all’interno dei gruppi dirigenti tenendo conto delle esigenze di tutti. Ricordandoci però della sostanza: il Pd sarà determinante per un’Europa più forte e con meno nazionalismi».

Lei si candiderà?

«Giuro, non lo so. Siamo in una fase di formazione delle liste, la sintesi arriverà alla fine. Lavoro come deputato e presidente di Demo, se posso servire in Europa lo decideranno i gruppi dirigenti. 

Se la segretaria Schlein si candiderà, dovrà farlo da capolista, come chiede una parte del Pd?

«Lo spirito che sta infondendo la segretaria, per cui tutti e tutte si impegnino e ci mettano la faccia, è giusto. Poi deciderà lei come declinarlo».

E’ favorevole all’ipotesi di candidare Ilaria Salis?

«Quello che sta passando Ilaria Salis è una vergogna, e facciamo bene a tenere alta l’attenzione denunciando l’oscena subalternità del governo. Per quanto riguarda la candidatura, è una valutazione che spetta a lei, alla sua famiglia e al gruppo dirigente del Pd: tutto il resto è rumore di fondo. Perché si tratta di una situazione delicata, da trattare con prudenza e non gettare nel tritacarne. Io non so cosa possa comportare la candidatura per la sua situazione, ma se può esserle utile mi chiedo: perché no?».

Nel Pd si è acceso un dibattito sulla probabile candidatura dell’ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio, da sempre contrario all’invio di armi in Ucraina.

«In un partito pluralista come il Pd ogni punto di vista è una ricchezza. Anche perché non ci divide l’anelito alla pace. Dopodiché, io credo che la pace passi dalla costruzione di un’Europa politica più forte, a cui noi possiamo contribuire».

La guerra in Ucraina è quello che vi separa anche dal M5S di Giuseppe Conte. E’ una distanza colmabile?

«Non ho mai pensato che il M5S fosse la stessa cosa del Pd. Esattamente come non sono la stessa cosa Meloni, Salvini e Tajani. Ma si può trovare un compromesso».

Pensa ancora che Conte sia «un punto di riferimento fortissimo dei progressisti»

«Quando dissi quella frase, Conte era il presidente del consiglio di forze progressiste. Insieme abbiamo salvato l’Italia e conquistato il più grande investimento economico e sociale dai tempi del piano Marshall. Il problema è semmai la disinvoltura con cui abbiamo archiviato passaggi di cui dovremmo essere orgogliosi, come il contrasto al Covid».

Crede sempre nella linea della segretaria «testardamente unitaria»?

«Assolutamente sì, anche perché sono convinto che si sia aperta una fase nuova e positiva per le opposizioni».

Cioè?

«Si è aperto un processo di convergenza, proprio mentre nella destra, dalla morte di Berlusconi, si è aperto un processo di disgregazione, ci si divide su tutto per contendersi pezzi di potere. Berlusconi era ossessionato dal fare sintesi, Meloni invece dal dominio sugli altri».

Si è aperto davvero un processo di convergenza? Non è che la vuole solo Schlein, mentre gli altri leader sfuggono?

«Nel settembre 2022 il livello di incomunicabilità delle forze politiche di opposizione era devastante. Si è seminato tanto veleno, e non si può pretendere che si superi con la bacchetta magica, ci vuole tempo».

Insomma, lei vede all’orizzonte il famoso campo largo.

«Non basta un accordo di vertice, occorre un processo vero aperto alla società. Sarà un percorso lungo e tortuoso, ma alla democrazia serve l’alternativa. Alle prossime politiche probabilmente vinceremo noi».

Affermazione impegnativa: è sicuro?

«Se uniti, già nel 2022 avremmo avuto più voti, e tutti i sondaggi dicono che l’Italia oggi è contendibile: sicuro non posso essere, ma so che è un obiettivo a portata di mano. Davanti al pericolo della destra mi sembra ormai chiara a tutti la necessità di battaglie comuni in nome della Costituzione: per il salario minimo, per la sanità pubblica, contro le disuguaglianze. Così si costruirà  un’alleanza per crescita , la giustizia sociale e ambientale, contro la destra dei privilegi».

Tra le ultime proposte del governo, il tetto ai bambini stranieri in classe. Cosa ne pensa?

«E’ un’esigenza macabra del populismo: per raccogliere consenso, deve individuare un presunto nemico per rappresentare un presunto popolo. Come stanno facendo anche coi magistrati».

Allude all’introduzione dei test psicoattitudinali?

«Nel governo Meloni c’è la costante di colpire gli altri poteri: il presidente della Repubblica; l’Europa; si provano a costituire monopoli informativi. Ora arriva l’attacco alla magistratura. Vede, a ogni critica la loro risposta è: abbiamo vinto dobbiamo poter governare, ma non è quello il punto».

Qual è?

«Hanno il diritto di provare a cambiare, quello che contesto è il loro obiettivo di cambiamento. Hanno diritto di provare a fare l’autonomia differenziata, contesto però che la loro riforma non si basi sull’uguaglianza sancita in Costituzione e renda la parola patria un imbroglio. Altro che Fratelli d’Italia, sono traditori d’Italia. E un partito che si chiama Forza Italia non può votare una legge che distrugge il Paese».

Zingaretti, un’ultima domanda: lei si dimise da segretario Pd vergognandosi di un partito che parlava solo di poltrone. E’ cambiato o è ancora così?

«Il livello di degenerazione contro una linea unitaria che si è poi rivelata corretta era insostenibile. Io la pronunciai per costruire, non per distruggere: se ora siamo tornati a una misura, è perché quella frase è servita».

Intervista per “La Stampa” del 2 aprile 2024, a cura di Francesca Schianchi