
I governi di destra frenano un’Europa più forte
“Gli appelli del presidente Sergio Mattarella e Mario Draghi affinché l’Europa si muova sono giusti e necessari. È vero: l’immobilismo non può essere più un’opzione. La consapevolezza è sempre crescente ed evidente in diversi settori strategici del nostro continente e non solo.
C’è però un equivoco che non è più possibile nasconderci: il problema non è l’Europa ma il ritorno potente del nazionalismo che sta frenando il processo unitario e il protagonismo comune. Sono i governi europei, per la maggior parte di destra, che hanno il potere di indirizzare le scelte sulle grandi questioni, ma che non hanno alcuna intenzione di investire su un’Europa politica e indipendente strategicamente.
Fa male dirlo, ma occorre farlo per aver chiara la dimensione del problema. Per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale a guidare i Paesi europei c’è chi all’Europa non crede. Tra loro prevalgono scetticismo e contrarietà, a cominciare dal governo italiano che oscilla tra le spinte positive del vice premier Tajani e l’opposizione all’Europa dell’altro vicepremier Salvini. Il risultato è che l’Italia conta sempre meno e contribuisce ad abbassare l’ambizione di un’Europa libera e unita.
Occorre una reazione e l’agenda dei prossimi mesi ci darà l’occasione per misurare comportamenti, scelte e rendere evidente chi scommette e chi boicotta il progetto europeo. La prima riguarda il bilancio europeo: è evidente che occorrono più risorse, coraggio e investimenti. A luglio la commissione presenterà la propria proposta del quadro finanziario pluriennale. Il Parlamento europeo, nella scorsa sessione di Strasburgo è stato chiaro su questo. Servono più fondi per lo sviluppo, giovani, famiglie e persone fragili, per la salute e la neutralità climatica, nuove risorse per il digitale e per gli aiuti umanitari.
Occorre poi chiarezza sugli investimenti necessari per le iniziative sociali e sul piano casa. È stata avanzata l’ipotesi dell’utilizzo dei ribassi d’asta del Pnrr per le politiche per la casa. L’Europa deve occuparsene, e non a caso abbiamo chiesto e ottenuto una commissione Casa al Parlamento, che sta lavorando proprio su questi temi.
Il terzo campo riguarda la necessità di rilanciare un’azione comune e coordinata per la decabornizzazione. Draghi ha puntato il dito su chi protegge gli speculatori e ha ribadito la necessità di accelerare, puntando al disaccoppiamento del prezzo dell’elettricità da quello del gas, e avviando un’indagine indipendente sul mercato energetico europeo per aumentare la trasparenza. Lo diciamo da tempo e non ci stancheremo di ripeterlo, a maggior ragione per l’Italia che paga la bolletta più alta di Europa: mentre i colossi dell’energia incassano profitti record, sono i cittadini, le cittadine e le imprese a pagare il conto. Il vero nemico non è il Green Deal, ma chi lo ha sabotato per convenienza politica o di bilancio, o per servilismo verso le lobby fossili.
Non è possibile poi rimandare la priorità della difesa comune europea. Avevamo ragione noi a chiedere un radicale cambiamento del Piano, fino a ora, infatti, abbiamo assistito solo ad aumenti di bilancio nazionale, ma la deterrenza o è europea o non esiste. Non c’è nulla di comune e coordinato. Il programma Edip, votato dal Parlamento in larga maggioranza e che rappresenta l’unico strumento di iniziativa comune della difesa nel campo industriale, è fermo al Consiglio vittima degli egoismi nazionali. Prima hanno chiesto procedure accelerate e ora si fermano.
Infine, occorrono investimenti. Occorre avere il coraggio di aprire l’opzione per debito comune per lo sviluppo a sostegno dell’innovazione, dell’industria europea a cominciare dall’automotive e dell’industria digitale. Rilanciare il sostegno alla ricerca alla scienza in campi dove rischiamo il declino. Il Partito democratico c’è anche a Bruxelles e lavora costantemente unendo concretezza alla prospettiva per un salto verso l’Europa politica indicando un orizzonte: con l’elezione del presidente della Commissione europea, del Consiglio e più poteri legislativi al Parlamento.
Se non si andrà avanti, sia chiaro la colpa non sarà “genericamente” dell’Europa ma dei nazionalisti e di quei governi europei che, subalterni, la bloccano.
Credere nell’Europa oggi significa innovarla e darle il mandato politico di lavorare davvero per il bene comune europeo, da cui dipende il futuro dei singoli stati nazionali.”
Nicola Zingaretti