La politica che sconfigge la violenza: la stretta via della pace

Il 4 Novembre di 30 anni fa, a conclusione di un comizio a sostegno degli accordi di Oslo e del processo di pace con i Palestinesi, Yitzhak Rabin, Primo Ministro Israeliano, veniva brutalmente assassinato da Yigal Amir, un estremista della destra messianica. Oggi è più che mai importante tenere viva la memoria di chi ha sacrificato la propria vita per la pace, di un’altra Israele, dell’egemonia della politica contro l’egemonia della violenza. Per questo al Parlamento Europeo abbiamo deciso di ricordare l’ex Primo Ministro e Nobel per la pace in un momento di riflessione su cosa abbiano significato le sue idee e la sua tragica morte.

Durante il processo per l’omicidio, l’assassino fugò ogni dubbio sulla natura del gesto: si colpiva Rabin per colpire il processo di pace. L’evoluzione politica e militare del conflitto e le recrudescenze di violenza e odio ci fanno chiedere se, purtroppo, l’assassino non sia effettivamente riuscito nel suo intento. D’altronde oggi a capo dello Stato Israeliano c’è Benjamin Netanyahu, che all’epoca dei fatti era leader dell’opposizione e che, come ha spesso ricordato in più interviste un altro ex primo ministro, Ehud Olmertfu tra i principali istigatori delle campagne d’odio che andavano in scena nelle piazze contrarie agli accordi di Oslo. Piazze nelle quali si inneggiava apertamente all’opportunità di fermare con ogni mezzo le idee di Rabin, piazze della destra nazionalista dalle quali proveniva lo studente che poi premette il grilletto quel 4 novembre del 1995. A tutto questo si aggiunge che Netanyahu ha legato la sua sorte politica e, è bene ricordarlo, personale, a estremisti come Smodrich e Ben Gvir. 

Proprio oggi, per riaprire una prospettiva di pace e sicurezza e tenere viva la speranza dei “due popoli, due stati” credo sia vitale mettere in campo una battaglia politica. Bisogna tenere accesa la scintilla affinché quello strettissimo sentiero di pace, che Rabin e Arafat provarono a percorrere, non sparisca sotto il peso dell’idea che adesso egemonizza la politica israeliana: quella della violenza come unica soluzione possibile. L’idea che essendo il più forte ti sia consentito di schiacciare e annientare il tuo avversario. Una strada di fanatismo che continuerà a portare morte al popolo palestinese e perenne insicurezza e altri lutti allo stesso popolo Israeliano, così come il terrorismo di Hamas. Una strada moralmente inaccettabile e che conduce dritta verso il suicidio storico di Israele, come tragicamente descritto in maniera esemplare nel suo ultimo libro da Anna Foa, che sarà con noi a Bruxelles. 

L’esempio di Rabin, che veniva da una formazione e carriera militare, ci racconta che, anche con alle spalle la storia e le esperienze di conflitto più dure, si può scegliere un’altra strada. Da prima fautore della pace con l’Egitto, poi in primissima linea col suo Governo per riconoscere il diritto dei Palestinesi a una prospettiva di autodeterminazione, accanto a uno stato d’Israele finalmente sicuro. Per chi, come noi, ha il privilegio di guardare da lontano e dal caldo delle proprie case quello che sta succedendo, c’è il dovere di far vivere nella coscienza collettiva il suo esempio. Questo non vuol dire illudersi che sia facile ribaltare l’egemonia della violenza e dell’odio, ma significa riflettere e agire costantemente, per quello che anche noi da qui possiamo fare, affinché torni al centro la politica e non la prevaricazione cieca e senza alcuno sbocco. Come diceva Rabin stesso: “Combatteremo il terrore come se la pace non esistesse e faremo la pace come se non ci fosse terrore alcuno”.

Per riflettere su questi decenni, per riaprire quello stretto cammino, per tornare a dare una concreta speranza che “due popoli due stati” non rimanga per sempre solo uno slogan, è di grande importanza portare la memoria di Rabin nelle nei luoghi della cultura, della politica e delle istituzioni, noi lo ricorderemo al Parlamento Europeo insieme ad Anna Foa e UmbertoGentiloni.